Lo Stagista (parte 1) - La Angeloni
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Lo Stagista (parte 1) - La Angeloni

Non era tanto il dover affrontare più di un’ora di mezzi pubblici al mattino, il dover pagare tre euro per un caffè di merda o lo stipendio da miserabile che gli pagavano a fine mese.

La cosa che più urtava Marco era dover sottostare, tutti i santi giorni, alle angherie dei suoi capi.

Quando sei l’ultimo stagista entrato in squadra nella compagnia di assicurazioni più grande del mondo, chiunque può essere considerato un tuo superiore.

E chiunque si sentiva autorizzato, di fatti, a sfogare nervosismo e frustrazione su di lui.

Eppure le premesse gli erano sembrate ottime: l’ufficio pazzesco in pieno centro a Milano, e la ragazza delle Risorse Umane che gli aveva fatto l’ultimo colloquio aveva parlato di benefit aziendali, incentivi e possibilità di fare carriera velocemente.

Marco, invece, dopo due mesi di schiavitù, non aveva visto l’ombra di un incentivo e ne aveva le palle piene di tutto e tutti lì dentro.

Quel giovedì la pioggia aveva peggiorato la situazione.

Bagnato fradicio, passa la porta d’ingresso e si prepara alla prima rottura di cazzo.

«Marco, porca puttana, il meeting è iniziato da 10 minuti.»

Fuori dalla sala riunioni lo stava aspettando uno degli altri poveri sfigati stagisti neo assunti, Paolo, uno di quelli meno fastidiosi.

Appena entrato si sentì gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, specie quelli del suo responsabile, che il giorno prima si era espressamente raccomandato di arrivare puntuali.

Mica era colpa sua se il tempo di merda aveva paralizzato il fottuto centro.

Riunione per accogliere la nuova Agente Generale, erano tutti in fibrillazione da giorni: una tipa di Roma, sulla cinquantina, a quanto si diceva una gran rompicoglioni.

Bona, però.

Era la tipa col tailleur chiaro che stava in piedi dall’altra parte della sala.

Aveva una giacca con un solo bottone, chiuso proprio sotto al seno, bello grosso, che si vedeva benissimo attraverso la camicetta bianca.

Capelli nerissimi ondulati e un paio di occhi verdi che mal celavano un certo disprezzo verso tutti loro.

La Dottoressa Angeloni stava parlando di target, risultati da ottenere entro il trimestre, policy aziendale… E lui invece se la immaginava col suo uccello ben piantato dentro la gola.

Afferrandola per i capelli e scopandole la bocca come una figa.

Quanto vorrei farti stare zitta a modo mio…

«Lei, laggiù. La vedo assorto, gli argomenti di cui sto parlando forse non sono degni della sua attenzione?»

Cazzo, ce l’aveva con lui.

La Angeloni lo fissava con i suoi occhioni verdissimi e schifati, tutti lo stavano fissando in realtà.

«Piero, sono tutte così le nuove risorse? Ma dove li avete trovati?»

Piero era il suo responsabile: dopo la riunione lo avrebbe scuoiato vivo.

«Ma no Dottoressa, sono solo un po’ giovani e inesperti…»

«Non credo che gioventù ed inesperienza diano loro il diritto di arrivare tardi alle riunioni e di sembrare dei rincoglioniti.»

Ce l’aveva decisamente con lui, la troia, e stava anche calcando la mano.

«Lei, dopo passi nel mio ufficio.»

Da schifoso a tremendamente schifoso, quel giovedì, ed erano appena le 10:30.

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Appena finito quello strazio, Piero lo raggiunse e lo trascinò fuori dalla sala.

Gli gridò robe irripetibili per un quarto d’ora, poi lo spedì a rapporto dalla Angeloni.

Prendo meno di un rider e mi stressate anche di sabato… Cacciatemi pure da sto posto del cazzo!

Gli era venuta voglia di tornarsene in Calabria dopo i primi mesi in agenzia: piazzare contratti assicurativi si era rivelato più difficile del previsto, non entrava in sintonia con le persone di lì, nemmeno lo stile di vita gli si addiceva…

E ora anche la nuova stronza bisbetica da cui prendere ordini.

Proprio non gli andava di sottostare anche a lei, e mentre entrava nell’ufficio della Dottoressa Angeloni l’idea di mandarla a fare in culo gli sembrò fantastica.

«Eccola, si sieda prego.»

Gentile adesso, la stronza.

Marco si accomoda dall’altra parte della scrivania. Maria Angeloni se ne sta sulla sua sedia con le gambe accavallate, le braccia conserte sotto il seno e lo fissa.

Con quei suoi enormi occhi da troia.

Potrebbe approfittare degli attimi di silenzio per prendere la parola, dire che l’esperienza dello stage non fa per lui e girare i tacchi. E invece Marco se ne resta seduto, a farsi squadrare da quella donna.

Se li porta benissimo gli anni che ha, forse il doppio dei suoi. Un bravo chirurgo plastico, sicuramente, e tanta palestra, considerando le cosce che si ritrova.

Avrebbe voluto vederla con addosso qualcosa di meno serioso del tailleur.  

«Di nuovo quell’espressione… Marco, giusto? Lei ha un ottimo curriculum, a quanto mi si dice. Eppure ha uno sguardo tutt’altro che intelligente.»

«Mi perdoni Dottoressa, stavo pensando.»

«E a cosa, se posso chiedere?»

A te vestita da mignotta, mentre mi succhi il cazzo con quei labbroni gonfi che ti ritrovi.

«Guardi, ne ho visti tanti di giovani promettenti sulla carta, ma scadenti nei fatti.»

 «Vuoi che faccia i fatti?»

Le lancia uno sguardo equivoco, lo fa di proposito: Marco ha deciso che alla fine di quel colloquio se ne andrà dall’agenzia. Tanto vale togliersi lo sfizio di provocare quella troia.

«Come, prego?»

«Hai capito benissimo, mia cara.»

Marco si gode il momento: la guarda diventare paonazza, sussultare sulla sedia. Accavalla di nuovo le gambe nervosamente e i suoi occhi si illuminano di una luce strana.

L’ha fatta incazzare di certo, ma forse la sua insolenza l’ha eccitata anche un po’.

«Ti ho capito, giovanotto. Ti senti un fallito, e infatti lo sei… Probabilmente starai pensando di abbandonare la nave già da un mesetto, non sei fatto per questa vita, lo sai meglio di me. E dulcis in fundo, ti arriva un capo nuovo, donna per di più.»

«Ho visto come ti sei messo a guardarmi, durante la riunione. In tanti mi guardano così… Ma tu sei meno di un moscerino, non ti permetto di guardarmi in quel modo.»

«E come ti guardavo, sentiamo.»

«Rivolgiti a me nel modo giusto, piccolo stronzo! Non azzardarti mai più a parlarmi in questo modo.»

Marco sentiva l’erezione nei suoi pantaloni crescere ogni minuto di più. La Angeloni aveva assunto un tono e un atteggiamento ancora più da stronza, provocarla aveva sortito un certo effetto.

«Scommetto che ti fa impazzire l’idea che una donna ti dia degli ordini, proprio non ti va giù. Vorresti licenziarti, non è vero?»

«Si.»

«Si, cosa? Devi dire SI SIGNORA!»

La Dottoressa Angeloni si alza in piedi e lo raggiunge dall’altra parte della scrivania. Ci poggia il culo sopra e, con un movimento fluido, gli spinge un piede sullo sterno e lo schiaccia con la schiena contro la sedia.

Preme col tacco contro il suo petto, e con la punta della scarpa prova a insinuarsi fra la sua cravatta e il colletto della camicia.

«Sei un povero sfigato… Quelli come te dovrebbero strisciare.»

Il tacco spinge sempre di più, pare voglia bucare il tessuto. Gli fa quasi male, ma il suo cazzo ormai non sta più nei pantaloni.

«Apri la bocca e tira bene fuori la lingua.»

Lui esegue l’ordine senza ribattere.

La Angeloni gli infila il piede dritto in bocca senza esitare, senza nemmeno togliersi la scarpa.

Gli ordina di leccarle la suola, di lucidarle la punta con la lingua, di prendere il tacco a spillo fra le labbra come se si trattasse di un cazzo.

E lui lo fa.

«Povero stronzo, non te ne andrai tanto presto da questo ufficio, o da questa azienda. Da oggi sei un mio oggetto… E ti tratterò come tale.»

 A Marco scappa un mugolio, mentre sta simulando un pompino al tacco vertiginoso del suo capo. Senza accorgersene ha iniziato a sfregarsi il cazzo fra le cosce: è durissimo, sta per esplodere.

«Schifoso, stai per sborrarti nelle mutande. Se osi farlo verrai punito.»

Troppo tardi.

«Non dire che non ti avevo avvisato.»

Quel giovedì aveva preso decisamente una strana piega.